A scuola sempre lieto e preparato andava
e alla sua vita grama mai badava.
In tasca aveva soldi niente
ma nel cuore la voglia di amare la gente.
Un giorno suo padre gli volle parlare,
ma mentre lo faceva si mise ad urlare.
“Insomma hai capito? Dovrai lavorare.
Non mi interessa chi vuoi diventare,
in questa casa non c’è da mangiare.
C’è poco da fare!
Adesso le cose sono cambiate,
non abbiamo più niente, neanche patate.
Vetri e scaloni dovrai tu pulire,
e guarda stai attento ad ubbidire.”
Il bambino ammutolito e assai atterrito,
guardava suo padre fermo ed impietrito
“Cos’hai da guardarmi così impalato?
Fuori, sparisci, puoi ritornare solo se hai guadagnato”
Con gli occhi gonfi di lacrime amare
uscì di casa, ma dove andare?
e tutto intorno adesso gli sembrava imbruttito.
Col groppo in gola pensò a cosa fare.
Aveva fame e provò a mendicare.
“Gente pietà, una moneta non è una spesa”
urlava quel bimbo gridando a distesa.
Così chiedeva il ragazzo
Ma chi lo ascoltava non dava niente e lo prendeva per pazzo
“Fannullone, vattene via” l’apostrofò qualcuno
“Brutto puzzoso, figlio di nessuno”
“Cento lire” disse più piano “cento lire per un panino
sono solo al mondo e sono un bambino.”
Chiese e richiese a uomini, donne, a un vecchietto.
Aveva tanta vergogna, ma racimolò un gruzzoletto.
Avrebbe comprato prosciutti e salamini?
No, ma una spugna e del sapone per pulire i finestrini.
Quando comprò tutto l’occorrente si mise fermo davanti ad un semaforo.
C’era tanto sole e i suoi capelli sembravano oro.
Quando il semaforo segnava rosso
lui sulla macchina piombava addosso
Veloce e lesto con la spugna puliva il parabrezza
E poi lo asciugava con la grande pezza.
Così trascorreva tutte le mattine,
mentre il pomeriggio puliva le scale delle palazzine.
Quando la sera a casa stanco tornava,
dava a suo padre tutto ciò che racimolava.
Di nascosto lui lo guardava!
Era certo che dentro quel cuore duro lui l’amava.
Il suo pasto era solo acqua ed un tozzo di pane.
Oh come avrebbe voluto la sua mamma, un amico fidato, qualcuno, un cane.
Quando la notte si sentiva afflitto
allora lui piangeva piano, piano, fitto, fitto.
Poi con la fantasia pensava ad un mondo bello
e allora si sentiva un principe dentro il suo castello.
Rivedeva la scuola, il maestro, il suo banco,
ricordava tutti, soprattutto il suo compagno a fianco.
Sarebbe voluto un giorno diventare architetto,
per mettere l’amore dentro ogni tetto.
Si chiedeva spesso perché la gente fosse distratta.
“Forse non è importante un bambino che si maltratta?
Un bambino non dovrebbe lavorare,
è suo diritto dovere studiare e giocare.
Sono sicuro non sto qui a sognare
le cose un giorno dovranno cambiare.
Presto, presto, forse anche domani.”
E ogni sera si dava forza chiudendo a pugni le mani.
Un giorno si accorse che come lui ce ne erano tanti
Tutti fanciulli, tutti lavoranti,
agguerriti ed incattiviti,
non credevano in niente e non avevano miti.
dicevano che non avevano anima e se l’avevano l’avevano dura.
Eppure ciascuno di loro non avrebbe chiesto niente
se non l’affetto vero della gente.
Un gesto, una parola, un aiuto, una mano
per ogni bambino che, come loro, era vicino e lontano.
E allora continuò a ripetersi “ Sono sicuro non sto qui a sognare,
le cose un giorno dovranno cambiare.
Presto, presto, forse anche domani.”
E ogni sera si dava forza chiudendo a pugni le mani.
Poi finalmente un giorno incontrò Gino Albegetti
Era un suo compagno ed insieme avevano fatto tanti progetti.
“Cosa fai tu qua” gli chiese Albegetti “ il banco è da tanto vuoto”
Ma l’altro rispose “Oh com’è grande la tua moto!”
“ Ma perché tu non sei più insieme a noi?”
continuò Albegetti “ ti posso aiutare se lo vuoi!
Sai! L’ho capito, stai qua a lavorare,
e tu cosa credi che io sto a guardare?
Che cosa credi che perché io sto bene
non ho il dovere di aiutarti a levarti le pene?
Guardami allora adesso in faccia
all’ingiustizia darò io la caccia ,
ma bisogna essere tutti noi ragazzi uniti
per potere essere veramente capiti.
Nella vita per il bene si deve lottare,
ma saremo tutti assieme, ci puoi contare.”
Così l’uno di fronte all’altro si stavano a guardare,
poi si strinsero la mano e le lacrime dagli occhi sentirono sgorgare.
Un uomo facoltoso ed importante che era li vicino,
avendo ascoltato tutto a quelle parole si sentì piccolo e meschino.
“Che vergogna” disse a se stesso
“Mi sento cattivo, mi sento un gran fesso.
Voglio aiutare! Non voglio più essere lesso.”
Così il riccone, dando soldoni, aiutò quei bambini,
bambini che un tempo la gente chiamò malandrini.
Poi comprò un megafono grosso grosso
e si mise ad urlare a più non posso:
“Dobbiamo aiutarci grandi e piccini
dobbiamo essere tutti sempre vicini.
Non importa chi sia il ragazzetto
se crescerà onesto domani sarà un uomo perfetto.
L’amore, l’amicizia, la fratellanza,
sono le cose che fanno la vera speranza.
Di indifferenza si muore
e noi vogliamo un mondo migliore.”
Adulti ormai son diventati quel ragazzetto e Gino Albegetti
Per la vita sono rimasti amici e fanno con le famiglie tanti progetti,
e quando incontrano qualcuno che li prende per pazzi
sapete dove lo portano? A ritornar bambini alla “Città dei ragazzi”.